Misantropia

“Gnomo: Sicché, in tempo di state, quando vedevano cadere di quelle fiammoline che certe notti vengono giù per l’aria, avranno detto che qualche spirito andava smoccolando le stelle per servizio degli uomini.

Folletto: Ma ora che ei sono tutti spariti, la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi.

Gnomo: E le stelle e i pianeti non mancano di nascere e di tramontare, e non hanno preso le gramaglie.

Folletto: E il sole non s’ha intonacato il viso di ruggine; come fece, secondo Virgilio, per la morte di Cesare: della quale io credo ch’ei si pigliasse tanto affanno quanto ne pigliò la statua di Pompeo.”

Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo Dalle operette morali
- Giacomo Leopardi

Per Zina
Per Fred

Comincio a discorrere da quelle parole attribuitemi da un certo Giacomo Leopardi. Da quel suo modo di avermi guardata, ascoltata e interpretata. Mi definì “Indifferente” additandomi come una di quelle matrigne che non si avvedono dei loro figli. E probabilmente aveva persino ragione. Noto per un mio grande rancore, che mi fa male pensare a voi umani. Che mi potreste far divertire per ore con questo vostro continuo girovagare senza mai raggiungere un alcuno scopo. Quel vostro illudervi di riuscire nelle grandi imprese. Quel vostro congratularsi quando capolavori vengono prodotti per poi giudicare la vita di artisti morti senza aver mai vissuto un loro secondo. Vorrei dirvi che vi odio mettendo così anche il mio animo in pace. Eppure non mi risulta così semplice accostare questa mia avversione alla vostra presenza.

Vi vedo litigare e perdere i vostri pensieri in realtà infondate; vi vedo non essere coerenti e provare quella sensazione di mancanza quando qualcuno non vi dice grazie per un’azione fatta da voi in veste di beneficenza. Vi vedo correre e spalmare strati su strati di cose identiche. Voi che potreste morire per non aver nulla da fare e al contempo sentirvi intrappolati quando di lavoro ne avete fin troppo. Voi che vi lamentate perché vi è necessario farlo. Che sembrate godere di quelle vite ridotte male, pronti a dire i vostri pensieri perché nessuno vi potrebbe impedire di farlo. Voi che mi distruggete, piangendo poi davanti a tombe di vostri conoscenti quando qualche catastrofe accade. Voi che vi causate i mali e non sapete assumervi la colpa. Voi che andate a trovarla in altre persone perché vi diventa più facile accettarla. Mi chiedo perché avete così tanta paura della morte. Voi non siete motivo della mia indifferenza ma siete voi stessi il motivo per cui lo pensate.

“Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.”

La pioggia nel pineto -
Gabriele d'Annunzio

Anche quando calpestate le mie foglie in autunno, io vi dedico un canto. E vorrei solo che imparaste a perdervi in me: nei giardini, sotto gli alberi, tra i fiori.

Ultimo aggiornamento: Mercoledì 03 Marzo 2021 11:16